Ai tempi del Coronavirus


Coronavirus5Io credo che tutta questa storia del Covid-19, o anche detto Coronavirus, oltre alle preoccupazioni, ai disagi, ahimé anche al numero dei morti, stia lasciando però anche grandi insegnamenti: stare in una situazione seria in maniera responsabile con “coscienza civica” e recuperare “il senso della misura”!
Ci siamo sempre sentiti invincibili con il progresso, con le nuove tecnologie, ed è bastato l’insorgere del Coronavirus a far crollare tutte le nostre certezze. Perché in effetti di certezze vere nelle società moderne non ne abbiamo più. E non mi riferisco ai soldi con tutto quello che ne consegue, ma a quei vecchi valori che sembrano non essere più di moda e che sono stati sostituiti da un forte individualismo e da una patetica superficialità. Ecco perché parlo di un riappropriarsi del senso della misura!
Bisogna affrontare questa crisi sforzandosi di cambiare un po’ i nostri comportamenti e di recuperare un po’ di rispetto per gli altri, di senso di appartenenza ad una nazione, di riscoperta della comunità e della cooperazione, ma soprattutto di una nuova dimensione e gestione del tempo!
A proposito della gestione del tempo, approfittiamo di questi giorni in cui siamo tutti “reclusi” nelle nostre case, per riflettere che magari in questi ultimi anni abbiamo speso la maggior parte del nostro tempo nell’utilizzo dei cellulari e dei social network, tralasciando mille altre attività, come la lettura, i vecchi giochi da tavolo, la musica, il decoupage, la cucina, la scrittura, il disegno, la pittura, il giardinaggio, le visite ai musei, gli spettacoli teatrali, ecc, che di sicuro avrebbero scandito diversamente la nostra esistenza apportando anche degli arricchimenti.
Sono certa che le persone più grandi non avranno difficoltà a riappropriarsi di queste “vecchie” attività e a compenetrarle con quelle, diciamo così, più “moderne” dell’era dei social, perché le loro generazioni hanno sempre avuto un contatto più diretto con la realtà.
Il mio timore è per i più giovani, così immersi nel loro mondo virtuale, (ai quali i genitori, un po’ per mancanza di tempo e/o voglia non hanno più tramandato determinati principi e valori) per i quali forse quello che sta accadendo in questi giorni sarà ricordato come una strana puntata di qualche serie TV o un brutto mostro del loro videogioco preferito!

Alessia Curcio

Giornata Mondiale dei Migranti


1452876772-0-diocesi-di-trapani-domenica-la-chiesa-celebra-la-giornata-dei-migranti-e-dei-rifugiatiIn occasione della Giornata Mondiale dei Migranti del 18 dicembre 2016 Vi riporto il testo integrale del messaggio del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon:

“É stato un altro anno turbolento per rifugiati e migranti. Abbiamo visto il persistente effetto devastante dei conflitti armati sulle popolazioni civili, con il suo carico di morte, distruzione e sradicamento. Abbiamo assistito all’inaccettabile perdita di migliaia di vite nel Mediterraneo e altrove. E, in aggiunta al danno, siamo testimoni della beffa rappresentata dalla crescita di movimenti populisti che cercano di rigettare ed espellere migrati e rifugiati, visti come la causa prima del malessere della società.
 
Tuttavia, riusciamo a scorgere dei raggi di luce in questo scenario, rappresentati da cittadini e comunità che aprono le loro braccia e i loro cuori. Abbiamo inoltre visto una promettente risposta internazionale, culminata nella Dichiarazione adottata a settembre a New York al Vertice ONU su rifugiati e migranti. Ora è di cruciale importanza che i governi onorino gli impegni presi con l’azione, per gestire grandi movimenti di rifugiati e migranti in una maniera che sia compassionevole, centrata sugli individui, rispettosa dell’uguaglianza di genere e saldamente radicata nei diritti umani fondamentali.
 
Ciascun migrante è un essere umano con dei diritti umani. Tutelare e sostenere i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti i migranti, indipendentemente dal loro status, è un elemento fondamentale della nuova Dichiarazione di New York. A questo scopo, occorre una maggiore cooperazione internazionale tra Paesi di origine, transito e destinazione, che sia disciplinata da normative e parametri internazionali. Dobbiamo respingere intolleranza, discriminazione e politiche ispirate a una retorica xenofoba che fa dei migranti dei capri espiatori. Quanti abusano dei migranti e cercano di arrecare loro danno devono essere inchiodati alle loro responsabilità.
 
Una risposta sostenibile ai flussi migratori deve affrontare le cause degli spostamenti forzati e precari di persone, tra cui figurano  povertà, insicurezza alimentare, conflitti armati, disastri naturali, cambiamento climatico e degrado ambientale, governance carente, persistenti diseguaglianze e violazione dei diritti economici, sociali, civili, politici o culturali. Una gestione efficace della migrazione richiede inoltre l’espansione di canali legali per permettere spostamenti che siano sicuri, il ricongiungimento familiare, la mobilità dei lavori a tutti i livelli di qualifica e opportunità educative sia per i bambini sia per gli adulti, così come la decriminalizzazione dell’immigazione irregolare e la regolarizzazione dellolo status di coloro che sono privi di documenti. 
 
L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile offre l’opportunità di garantire che i bisogni di quanti vivono ai margini della società, tra cui i migranti, diventino una priorità, in modo da non lasciare nessuno indietro. In questa Giornata Internazionale dei Migranti, chiedo alla comunità internazionale di agire sull’impegno globale adottato per una migrazione sicura, regolare e ordinata, come contributo essenziale alla costruzione di un mondo di pace, prosperità, dignità e opportunità per tutti”.

La Giornata Internazionale del Migrante è stata istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite. La data fu scelta per richiamare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle Loro Famiglie, adottata il 18 dicembre del 1990 dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Dal 1 gennaio al 31 ottobre 2016 sono più di 158.795 i migranti sbarcati in Italia. Scappano da guerre, violenze, persecuzioni, povertà ed emergenze ambientali. Il 50% dei migranti è composto da donne e minori non accompagnati. Fino ad un anno fa gli uomini che tentavano la sorte oltre confine rappresentavano ben il 70%. Donne e bambini dunque sono i nuovi migranti. Due categorie particolarmente a rischio, perchè particolarmente appetibili per il mercato del sesso, per lo sfruttamento lavorativo, e in generale per attività illecite di vario tipo. Con la chiusura delle frontiere da parte di Francia e Austria i migranti approdati sulle coste italiane si trovano intrappolati nel nostro Paese, senza possibilità di proseguire il viaggio verso altri paesi europei alla ricerca di un futuro migliore (come invece avveniva prima di queste misure di irrigidimento).

Leggevo che la Comunità di Sant’Egidio è molto preoccupata per come le Istituzioni internazionali e i singoli Paesi stanno affrontando il fenomeno dei migranti. L’Europa – afferma la Comunità di Sant’Egidio – «continente che, per motivi storici, potrebbe elaborare più di altri un modello che coniuga accoglienza e integrazione, sviluppo economico e tutela dei diritti umani, si trova impantanata da veti reciproci. Soprattutto, come si è visto anche nel recente consiglio europeo, si tende a scaricare sul problema dei migranti e dei profughi richiedenti asilo, i problemi interni all’Unione e le paure politiche – per lo più elettorali – dei diversi Paesi che ne fanno parte». Intanto la stessa Europa e tutta la comunità internazionale «si sono dimostrate colpevolmente impotenti di fronte al dramma che si consuma in Siria e nella città di Aleppo». Mentre «si continua a litigare, talvolta per poche decine di unità da ricollocare da un Paese all’altro, si continua a morire nel Mare Mediterraneo: dall’inizio del 2016 sono quasi 5mila le persone che hanno perso la vita nei viaggi sui barconi, il numero più alto mai registrato in un anno».

La Comunità di Sant’Egidio ricorda che esistono delle soluzioni: i corridoi umanitari, realizzati insieme alle Chiese protestanti italiane, grazie a un accordo con lo Stato italiano, hanno già permesso di far giungere in Italia 500 profughi siriani dal Libano, in tutta sicurezza per chi arriva – perché salva la sua vita – come anche per chi accoglie, perché offrono regolari controlli e una maggiore integrazione. Altre 500 persone arriveranno entro la fine del 2017 con questo progetto che è interamente autofinanziato, «fatto che rappresenta in sé una denuncia nei confronti di tante risorse sprecate». Esiste inoltre la possibilità di introdurre il sistema della sponsorship – già esistente in alcuni Paesi e realizzata in passato anche in Italia – che consiste in un patto tra lo Stato e l’organismo che richiede il migrante e si occupa di lui per un determinato periodo, garantendogli una buona integrazione e un più facile inserimento nel mondo del lavoro.

Credo fortemente che nella maggior parte dei fenomeni sociali in crisi, come quello dei migranti, l’unica possibilità per sanare la situazione sia utilizzare modelli che sfruttino la sinergia tra società civile e istituzioni, preoccupandosi di sostenere i Paesi di origine dei migranti e di compiere ogni sforzo possibile per arrestare i conflitti che, oltre al gran numero di vittime, sono la causa degli enormi flussi di rifugiati a cui assistiamo.

Alessia Curcio

Unicef 70 anni dalla parte dei bambini


kx3amsnv_400x400L’UNICEF compie oggi 70 anni di vita. L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Infanzia nata l’11 dicembre 1946 per portare aiuto ai bambini che stavano soffrendo dopo la Seconda Guerra Mondiale, cominciò a fornire aiuti nutrizionali di emergenza. Negli anni ’50 realizzò la prima campagna di vaccinazione contro malattie come tubercolosi e framboesia. Nel ’53 lanciò i primi programmi legati all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, nel ’61 ha ampliato l’impegno includendo anche l’istruzione.

Quella dell’UNICEF è una storia di bambini curati e protetti, di bambini salvati. È la storia di quanti risultati si possono ottenere quando si collabora tra governi, individui e comunità e si investe per tutelare i diritti dei più piccoli e vulnerabili.

L’organizzazione opera in oltre 190 paesi e territori con programmi di sviluppo. Quasi un bambino su quattro nel mondo vive in Paesi colpiti dalla guerra o disastri, spesso senza accesso alle cure mediche, all’igiene, all’istruzione, alla nutrizione adeguata. Di questi, i tre quarti vivono nell’Africa sub-sahariana, il 12% in Medio Oriente e in Nord Africa. E’ uno dei dati ricordati dall’Unicef in occasione della celebrazione dei suoi 70 anni.
Ma i dati ci rammentano che molto resta ancora da fare e che in tutto il pianeta sono ancora in corso gravissime emergenze che affliggono i più piccoli: in Siria 6 milioni di bambini hanno bisogno di assistenza, quasi 3 milioni sono i minori sfollati, circa 500mila quelli che vivono in aree sotto assedio. Nel Nordest della Nigeria, regione martoriata dalle violenze del gruppo estremista Boko Haram, 1,8 milioni di persone sono sfollate, di queste 1 milione sono bambini. In Afghanistan quasi la metà dei bambini in età scolare non frequenta la scuola. In Yemen circa 10 milioni di minori sono segnati dal conflitto in corso. Ad Haiti, a due mesi dalle devastazioni provocate dal passaggio dell’uragano Matthew, oltre 90mila bambini sotto i 5 anni hanno bisogno di cure e assistenza.  Oggi, l’Europa vive il più vasto esodo di bambini e adolescenti dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Anche la Pigotta, la tradizionale bambola di pezza dell’Unicef, quest’anno raggiunge un importante traguardo: compie 18 anni. La bambola, realizzata a mano da volontari di tutta Italia, può essere “adottata” a fronte di una donazione minima di 20 euro. Con questi fondi l’Unicef potrà fornire a un bambino un kit salvavita composto da vaccini, dosi di vitamina A, antibiotici e una zanzariera, aiuti fondamentali per la vita di bambini che spesso non riescono a superare i cinque anni di età.

Fonte Ansa/Unicef

Giornata Mondiale dei Diritti Umani


human-rights-dayLa Giornata Mondiale Diritti Umani 2016 intende ricordare la proclamazione, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, della Dichiarazione Universale dei diritti umani, avvenuta il 10 dicembre 1948, in un mondo ancora sconvolto dalle tragedie della Seconda guerra mondiale.

L’istituzione formale della Giornata è avvenuta poi durante il 317º meeting globale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 1950, quando è stata promulgata la risoluzione 423, che invitava “tutti gli stati membri e tutte le organizzazioni coinvolte ed interessate a celebrare la giornata nella maniera a loro più consona”.

La Dichiarazione Universale dei diritti umani è stata il primo documento, composto da 30 articoli, a sancire quali fossero i diritti intoccabili dell’essere umano. Gli articoli fondamentali, secondo me, che soprattutto meritano una riflessione nei tempi attuali sono i seguenti: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” (art. 1), “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona” (art. 3), “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese” (art. 13), “Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza” (art. 15), “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione” (art. 18), “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere” (art. 19), “Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione e le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità ed al libero sviluppo della sua personalità” (art. 22), “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione” (art. 23), “Ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente realizzati” (art. 28).

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si ispira ai più grandi documenti in ambito di diritti: il britannico Bill of Rights (1689), la Dichiarazione di Indipendenza Statunitense (1776) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nata durante la Rivoluzione Francese (1789). Non dimentichiamoci che già tra Seicento e Settecento, nel periodo illuministico, la teoria del giusnaturalismo aveva parlato di diritti naturali: “abbiamo dei diritti in quanto esseri umani, per natura. Senza distinzioni“. E anche più indietro nel tempo, nell’antica Grecia Platone e Aristotele sostenevano che avessimo dei diritti naturali, che esulano dal diritto positivo: “il diritto alla vita è qualcosa che non dipende dallo stato in cui ti trovi“.

Ahimè però, nonostante i grandi propositi e le tante belle parole di questa Dichiarazione, le falle dei sistemi economico – sociali e le scelte politiche inappropriate di tanti Paesi hanno prodotto in questi anni abusi, ingiustizia, sofferenza, disgregazione sociale e quindi i vari “diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, all’istruzione, alla libertà di espressione e di stampa, alla sicurezza, ad un giusto processo, a professare la propria fede”, sono rimaste tante tessere di un mosaico, quello dei diritti umani, ancora incompiuto.

Il Presidente Sergio Mattarella ha dichiarato che “l’odierna Giornata Mondiale ci ricorda che la tutela dei diritti umani non è un mero esercizio teorico, non riguarda solo gli altri o le sole istituzioni. È un impegno che tocca tutta la comunità, ogni giorno, in ogni situazione e circostanza”. Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica Estera della UE, ha affermato che l’Unione Europea desidera “continuare a svolgere un ruolo guida nel promuovere un ordine globale basato sulle norme e incentrato sul rispetto dei diritti umani”. Il prossimo anno continuerà infatti “il follow-up della nuova strategia globale per la politica estera e di sicurezza, avviata nel giugno 2016, promuovendo il rispetto dei diritti umani all’interno e all’esterno dell’UE” e garantendo “il massimo livello di protezione dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati”. Dal 2015 infatti l’Unione Europea ha fatto partire un progetto volto a tutelare e garantire i diritti umani e la democrazia che si concluderà nel 2019 e che impegna gli Stati a “combattere la tortura e i maltrattamenti e proteggere i diritti dei minori”.

Non so se ci avete fatto caso, ma gli alti Funzionari dello Stato o i Rappresentanti delle Istituzioni Internazionali, continuano a sostenere di promuovere il rispetto dei diritti umani, la sicurezza, la difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati, la protezione dei diritti dei minori, ma intere fasce di popolazione continuano a vedere violati e calpestati questi diritti tutti i giorni…

Ma allora, io mi domando: può considerarsi oggi ancora valida una Dichiarazione Universale dei diritti umani quando il diritto assoluto, ovvero il “diritto alla vita“, è più che mai disatteso in decine di Paesi in balia di carestie, conflitti e crisi umanitarie e in altrettanti, tra cui anche gli Stati Uniti, è ancora ammessa e praticata liberamente la pena di morte?

Probabilmente non sbagliava lo Scrittore e Giornalista Austriaco Karl Kraus quando affermava: “confessiamo una buona volta a noi stessi che da quando l’umanità ha introdotto i diritti dell’uomo, si fa una vita da cani…”.

Alessia Curcio

Giornata Internazionale della Disabilità


1417433160298_disability-dayIl 3 dicembre si celebra la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, istituita nel 1981 con lo scopo di eliminare le forme di discriminazione sociale e permettere una maggiore inclusione delle persone disabili. Dal luglio del 1993, il 3 dicembre è diventato anche Giornata Europea delle Persone con Disabilità, come voluto dalla Commissione Europea, in accordo con le Nazioni Unite.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo ci sarebbero più di 1 miliardo di persone con una disabilità, circa il 15% della popolazione mondiale. Almeno un quinto di questi, circa 110-190 milioni di individui, è costretto ad affrontare difficoltà «molto significative» nella vita di tutti i giorni. Inoltre, le percentuali di disabilità stanno aumentando, a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’aumento globale delle malattie croniche. In Italia invece l’Istat stima che siano 3 milioni i disabili, il 5% della popolazione. Circa 700mila persone hanno problemi di movimento, oltre 200mila difficoltà sensoriali, quasi 400mila limitazioni che impediscono le normali funzioni della vita quotidiana.

L’Italia spende poco per la disabilità: secondo l’Eurostat, la spesa è di 430 euro procapite, posizionandosi al di sotto della media europea di 538 euro nella parte bassa della classifica. La spesa media annua dei comuni per disabile è inferiore ai 3mila euro l’anno con una spesa giornaliera di 8 euro. Profonde sono le disparità territoriali. Basta pensare che la Calabria spende circa 469 euro contro i 3.875 del Piemonte. Ma quello che maggiormente influenza negativamente la vita dei disabili è l’esclusione. Si stima che meno di un disabile su cinque lavori. Infatti, la disabilità è uno dei fattori principali di impoverimento.

La Regione Lazio ha dichiarato che investirà complessivamente 34,2 milioni di euro in progetti per la disabilità. Con un bando del Fondo Sociale Europeo che sarà pubblicato entro dicembre, la Regione Lazio finanzierà per i prossimi tre anni con 10 milioni di euro almeno 800 progetti di inclusione sociale destinati ad altrettanti giovani-adulti tra i 18 e i 35 anni con disabilità fisica, psichica o sensoriale o con disagio psichico medio-grave. I progetti dureranno 12 mesi (per un totale di 600 ore di attività) e riguarderanno l’orientamento e il counseling, progetti individualizzati di accompagnamento formativo e lavorativo, sostegno psicologico e familiare e laboratori di sviluppo delle competenze personali. A questo si aggiungono gli stanziamenti appena approvati per le attività dei distretti socio-assistenziali: 14,1 milioni sono stati destinati al finanziamento dei progetti individuali di assistenza alle persone con disabilità gravissima, 6 milioni andranno per i progetti di reinserimento sociale, lavorativo e abitativo delle persone con disagio psichico arrivate a conclusione del percorso terapeutico e altri 1,6 milioni sono stati destinati al rifinanziamento dei servizi per le persone con morbo di Alzheimer nei distretti che avevano già esaurito i fondi a disposizione.

Significativo è stato l’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “La Giornata internazionale delle persone con disabilità è un’occasione di riflessione, di verifica, di impegno per le istituzioni e per l’intera nostra società. L’effettiva uguaglianza delle opportunità e il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza da parte di chi è portatore di disabilità, fisica, intellettiva o relazionale, costituiscono traguardi di libertà e di umanità per ciascuno di noi e per le comunità delle quali siamo partecipi. Tanti passi avanti sono stati compiuti nella legislazione e nell’organizzazione sociale. Una maggiore sensibilità culturale si è sviluppata attorno al valore positivo delle diversità e alla necessità di rimuovere barriere – anche occulte – che condizionano ed escludono. Ma purtroppo tanti ostacoli devono ancora essere abbattuti: nella vita quotidiana, nelle strutture economiche e sociali, nei pregiudizi di chi si sottrae ai doveri di solidarietà”.

Il 2016 è inoltre il decimo anniversario della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili e il 3 dicembre rappresenta appunto un momento per valutare i cambiamenti avvenuti nei Paesi che l’hanno ratificata. Il tema per il 2016, su iniziativa lanciata dall’ONU nel 2015, è il raggiungimento dei 17 obiettivi entro il 2030, con lo scopo di promuovere lo sviluppo sostenibile.

I diciassette obiettivi, che saranno trattati senza perdere di vista il tema della giornata, quello della disabilità, sono:

  1. Lotta alla povertà. 
  2. Lotta alla fame.
  3. Promozione della salute e benessere per tutti e tutte le età.
  4. Accesso ad una istruzione di qualità.
  5. Parità di genere attraverso l’emancipazione delle donne e delle ragazze.
  6. Acqua pulita e servizi igienico-sanitari… Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienico-sanitari.
  7. Energia rinnovabile e accessibile… Assicurare la disponibilità di servizi energetici accessibili, affidabili, sostenibili e moderni per tutti.
  8. Promozione dell’occupazione e di una crescita economica inclusiva, sostenuta e sostenibile, per tutti.
  9. Promozione dell’innovazione e delle infrastrutture.
  10. Riduzione delle diseguaglianze all’interno e tra i Paesi.
  11. Promozione di città e comunità sostenibili.
  12. Utilizzo responsabile delle risorse.
  13. Lotta al cambiamento climatico.
  14. Utilizzo sostenibile del mare.
  15. Utilizzo sostenibile della terra.
  16. Promozione di Pace e giustizia.
  17. Partnership per lo sviluppo sostenibile.

Io credo che riguardo alla disabilità le barriere da abbattere non sono tanto quelle architettoniche, ma soprattutto quelle culturali e sociali come scritto nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità: “la discriminazione contro qualsiasi persona sulla base della disabilità costituisce una violazione della dignità e del valore della persona umana”. 

Lavoro, istruzione, uguaglianza, accessibilità dovrebbero essere i punti sui quali le Istituzioni, le Organizzazioni e le Politiche Sociali dovrebbero porre l’attenzione in modo che vengano rimossi gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona…

Alessia Curcio

Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù


15259752_10154596920395336_5789223875240458458_oSi celebra oggi, 2 dicembre, in tutto il mondo la  Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù, ricorrenza che l’Onu ha voluto commemorare a partire dal 2 dicembre 1949. Una data simbolica in quanto fu questo il giorno in cui l’Assemblea Generale ratificò la Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del traffico di persone e dello sfruttamento della prostituzione.

In Italia è entrata in vigore il 21 marzo 1950, ed è stata recepita nel nostro ordinamento giuridico ai sensi della L. 23 novembre 1966, n. 1173, pubblicata nella G. U. del 7 gennaio 1967 n. 5.

Sebbene la schiavitù sia formalmente illegale in Occidente e la Carta dei diritti dell’uomo, all’articolo 5, vieti espressamente la tratta degli esseri umani, essa risulta oggi particolarmente attiva, coinvolgendo ogni anno centinaia di migliaia di persone. Secondo il Global Slavery Index 2016 gli schiavi nel mondo sono 45,8 milioni. Nelle Americhe: 2,1 milioni. In Europa: 1,2 milioni. In Asia Pacifica: 30,4 milioni,

Un fenomeno che nel corso del tempo ha assunto nuove forme (la schiavitù sessuale, la schiavitù domestica, il matrimonio forzato, fino allo sfruttamento del lavoro necessario per l’annullamento dei debiti, senza dimenticare il lavoro minorile e il fenomeno dei bambini soldato), diventando la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali in Italia, dopo il traffico di armi e di droga.

Nelson Mandela diceva: “Essere liberi non significa solo sbarazzarsi delle proprie catene, ma vivere in un mondo che rispetta e valorizza la libertà degli altri”. Parole attuali più che mai oggi…

E aggiungo che la schiavitù è un oltraggio all’umanità e all’evoluzione. I governi tutti dovrebbero estirpare tutte le nuove forme di schiavitù per restituire diritti umani e dignità a tutte le persone che ne sono state private.

Alessia Curcio

Giornata Mondiale della lotta all’AIDS


giornata-mondiale-aidsIl 1° dicembre è la Giornata Mondiale della lotta all’AIDS. La prima volta che si sentì parlare di questa malattia fu il 5 giugno 1981, quando si registrarono casi sospetti di polmonite in cinque uomini omosessuali a Los Angeles. Ma in realtà, l’AIDS ha origini molto più antiche, riconducibili ad un secolo fa, almeno da quanto riportato in uno studio del 2014, pubblicato sulla rivista Science. Lo studio, condotto dai ricercatori del dipartimento di Zoologia dell’Università di Oxford, ha analizzato la storia genetica dell’HIV. Tutto sarebbe iniziato negli anni ’20, nella città mercantile di Leopoldville, oggi Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo. Una perfetta concomitanza di fattori storici e sociali in Africa centrale fu la causa della diffusione globale dell’HIV. Ci vollero almeno 30 anni prima che il virus si diffondesse in altre tre città del Paese (Mbuji-Mayi, Lubumbashi e Kisangani) e arrivasse fino agli Stati Uniti e in tutto il mondo nel 1960 e il numero di casi esplodesse nel 1980.

Ma partiamo dalla differenza tra HIV e AIDS. Innanzi tutto essere sieropositivi, ossia aver contratto il virus dell’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) non vuol dire avere l’AIDS. L’HIV è un virus che attacca e indebolisce il sistema immunitario: una volta entrato nel corpo si replica danneggiando il sistema immunitario (ossia i linfociti) che difendono da certi tipi di infezioni e malattie. Se non trattato il virus consente a queste infezioni di colpire il corpo: è quando queste infezioni compaiono che c’è l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita). La persona portatrice del virus HIV, senza infezioni, viene definita sieropositiva o HIV+: significa che è risultata “positiva” al test che vede gli anticorpi all’HIV.

Nel corso degli anni gli scienziati si sono impegnati in una lunga battaglia per migliorare il trattamento del virus con i farmaci antiretrovirali, che rallentano il corso dell’HIV, consentendo così alle difese immunitarie di recuperare e scongiurare il passaggio all’AIDS. Chiaramente chi si cura ha un rischio di trasmettere l’infezione praticamente nullo e un’aspettativa di vita pari a quella degli altri. L’epidemia nasce non tanto da persone che sanno di avere l’HIV e magari non assumono la terapia, ma da chi non sa di essere sieropositivo e, non curandosi, può trasmettere inconsapevolmente il virus.

Ed è questa la parola d’ordine delle nuove campagne di sensibilizzazioneTerapia come prevenzione (TasP ossia Treatment as Prevention) a fianco della Prevenzione Tradizionale che vede l’uso del preservativo.

Come dico sempre in molti dei miei post, nel nostro Paese manca la presa in carico delle Istituzioni rispetto ai problemi che insorgono. Basterebbe una diffusione capillare sul territorio di Test, condom, terapia e informazione per combattere l’HIV. Di soldi se ne spendono molti in Italia, ma quando si parla di salute, la risposta è sempre la stessa: “tagli, tagli e tagli”! Un investimento “oggi” in termini di prevenzione ed informazione si tradurrebbe domani in milioni di vite salvate…

Ma non è solo lo Stato che non fa la sua parte… C’è anche chi, avrebbe tutti gli strumenti culturali ed economici per proteggersi dalle infezioni eppure non lo fa, perchè non ha la percezione del rischio e così finisce per mettere a repentaglio sé e le persone intorno a sé. Ci troviamo di fronte ad un vero problema culturale: negli anni ’90 il virus si diffondeva prevalentemente nell’ambito della tossicodipendenza, oggi la trasmissione avviene per lo più per via sessuale, ma questa non è avvertita come pericolo.

Hiv e l’Aids anche se non fanno più paura, non devono essere sottovalutate, soprattutto dai giovani (tra i 25 e i 29 anni) che sono i più interessati al contagio. A dirlo sono i dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità che parlano di 3444 segnalazioni di nuove diagnosi di infezione nel 2015. Un’incidenza che colloca il nostro Paese al 13° posto in Europa. L’85,5% di queste diagnosi è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, il 44,9% tra eterosessuali, il 40,6% tra omosessuali. Ma quello che più allarma è che la maggioranza delle diagnosi sono tardive.

In occasione della Giornata mondiale sull’Aids, il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha dichiarato: “Abbiamo un nuovo Piano nazionale Aids: è in via di approvazione da parte del Consiglio superiore di sanità (Css), alla luce dei cambiamenti legati a questa malattia. Il nuovo piano mira a rafforzare la prevenzione e l’utilizzo dei test e verrà discusso dal Css il 13 dicembre e poi andrà alla Conferenza Stato-Regioni, e speriamo di averlo presto approvato”. Tra gli obiettivi del piano, ha chiarito il ministro, innanzitutto “delineare progetti per modelli di intervento per ridurre il numero delle nuove infezioni; facilitare l’accesso al test e garantire le cure; favorire il mantenimento in cura dei pazienti e migliorare lo stato di salute delle persone con Hiv-Aids”. Prioritario anche “coordinare i piani di intervento sul territorio nazionale, tutelare i diritti sociali e lavorativi dei malati, promuovere la lotta allo stigma”.

Staremo a vedere cosa realmente verrà realizzato di questo nuovo Piano nazionale Aids!

Alessia Curcio

Basta violenza sulle donne… cambiamo mentalità


25-novembre-giornata-internazionale-contOggi, 25 novembre, in tutto il mondo si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. La giornata è stata istituita dall’Onu nel 1999 per ricordare il brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, torturate e massacrate nel 1960 perché considerate rivoluzionarie, nella Repubblica dominicana del dittatore Trujillo.

Vedete, purtroppo è la nostra cultura che nel corso del tempo ha creato, sostenuto e promosso stereotipi e modelli discriminanti, che sono alla base della violenza e della sopraffazione di un sesso sull’altro. Perpetuare gli stereotipi di inferiorità e di vulnerabilità della donna continuerà ad alimentare ancora la spirale della violenza. L’unico modo per salvare il nostro Paese sarà l’introduzione di una educazione mirata che porterà l’individuo (donna e uomo) , sin dai suoi primi anni di vita, ad assimilare il concetto di “parità dei sessi”.  E’ proprio durante l’infanzia e l’adolescenza che si può intervenire per agire sulla formazione di modelli discriminanti.

Ho trovato molto illuminante l’analisi dell’Antropologa Cristina Papa contro la violenza sulle donne che ha fornito tre tipologie di spiegazione teorica rispetto alla violenza e alle sue cause:

  1. la prima tipologia è naturalista e giustificazionista. Le cause delle violenze sarebbero legate a disturbi psicologici dell’uomo, a fattori di devianza in generale, al contesto di vita degradato e marginale dell’attore sociale.
  2. La seconda è di tipo storico e sociologico.  Ad esempio, gli storici anglosassoni dei men’s studies hanno evidenziato come la nascita della “mascolinità moderna“, con il corollario della difesa dell’onore e la complicità tra uomini, sia da porsi in relazione con l’affermarsi dell’imperialismo, del capitalismo e del razzismo. Un modello questo di mascolinità che escludeva non solo gli uomini “altri” (primitivi, neri, omosessuali), ma anche chi uomo non era, le donne. Alcune analisi culturali si soffermano, dall’altra parte a descrivere la crisi del modello tradizionale di mascolinità prodotto dalle trasformazioni sociali e dalle nuove modalità di vivere il rapporto tra i sessi da parte delle donne. La violenza sarebbe il risultato di una crisi maschile, gli uomini reagirebbero in maniera violenta proprio perché sfugge loro il controllo della relazione, che non esercitano più con l’autorità tradizionale. Le analisi storico-sociologiche, non riescono però a spiegare l’estensione e la ripetizione del fenomeno in sistemi e contesti culturali diversi.
  3. La terza è di tipo strutturale e sistemico ed è legata alla struttura patriarcale della società, slegata dai singoli contesti storici o a specifiche ragioni socioculturali. Il modello tradizionale di mascolinità, in questo caso, fa riferimento a pretese leggi naturali, ed è stato storicamente costruito intorno ai concetti di potere, lavoro produttivo, successo economico, aggressività, omofobia, e subordinazione delle donne.

Ma perchè gli uomini uccidono le donne? Perché dietro al femminicidio c’è la violenza di genere, c’è l’idea di possesso, c’è l’incapacità dell’uomo di accettare la donna come soggetto autonomo. Il modello patriarcale ha sempre considerato la donna in relazione al “ruolo”, e cioè alla cura, alla procreazione, alla funzione sessuale, e l’ha vista sempre come oggetto anziché come soggetto emancipato. Il femminicidio quindi, come la violenza di genere, è un fenomeno culturale, e per combatterlo è necessario sconfiggere la mentalità patriarcale che vuole la donna legata a ruoli tradizionali e la concepisce come corpo violabile. Ecco perchè all’interno di un tale contesto di squilibrio di potere, l’uomo, soprattutto quello che ha una relazione più stretta con la donna, si sente in diritto di maltrattarla, violarla fino ad ucciderla.

Se le Istituzioni sociali continueranno a non condannare in maniera esemplare queste condotte abominevoli, la violenza continuerà a diffondersi. Ma non vi siete chiesti come mai al di là dei vari numeri di uccisioni di donne, il fenomeno della violenza non si indaga, non si studia come si dovrebbe e a livello pubblico non si predispongono strumenti per combatterlo e prevenirlo?

Quello che mi auguro per l’immediato è che le donne trovino il coraggio di abbandonare la maschera di accondiscendenza imposta da questa cultura così antiquata e che denuncino i loro carnefici per difendere se stesse e la loro libertà…

In attesa che vengano implementati nelle scuole nuovi modelli educativi e che tutti, uomini e donne, Chiesa e Istituzioni riflettano, perchè la responsabilità è di ognuno di noi se le cose in una società non vanno bene o non cambiano, chiudo con una mia riflessione: “sarebbe molto bello se femminilità e mascolinità fossero solo qualità, piuttosto che categorie di persone”!

#noallaviolenzasulledonne

Alessia Curcio

La condizione del lavoro in Italia e l’appello su Twitter Presidente facci Tornare


hqdefault5Mi sento particolarmente colpita dall’articolo di oggi riportato nel blog di Diario di Adamo, alias Matteo Gamba, Giornalista di Vanity Fair, dedicato alla storia di Arianna, 29 anni, cervello in fuga, emigrata all’estero da quando ne aveva 23, perchè desiderosa di trovare un lavoro dignitoso e di raggiungere la sua indipendenza. Sul Blog è stato anche lanciato un hastag per Twitter “#Presidentefaccitornare”, con appello diretto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La storia di Arianna ahimè non è la sola, migliaia sono i “giovani cervelli in fuga” dall’Italia. Secondo i dati del Rapporto Migrantes oltre 107 mila ragazzi hanno lasciato l’Italia solo nel 2015. Secondo me sono dati che continueranno a crescere perché il problema della mancanza di lavoro e di opportunità, non ha riguardato solo gli italiani migranti che hanno già lasciato il nostro Paese, ma continua a riguardare milioni di persone disoccupate, o occupate parzialmente, in Italia, che probabilmente prenderanno la stessa decisione se le cose non cambieranno.

Perchè signori miei, il lavoro continua a non esserci in Italia, e si sta prendendo sotto gamba un problema che è diventato una vera piaga sociale. Anche io mi sento chiamata in causa in prima persona in questo enorme momento di crisi, perchè sono disoccupata e negli anni passati, anche se ho lavorato, ho avuto sempre delle tipologie di contratti vergognosi. In questo clima disastroso, che non riguarda solo me, ma milioni di persone, senti veramente di non avere nessuna certezza e nessuna speranza per il futuro. Chi non c’è dentro o non ci passa non può capire. Senza un lavoro non puoi fare nessun tipo di progetto e nessun sogno per il futuro. Sono parole dure, lo so, ma la verità è questa, è inutile che i vari politici di turno raccontano balle e parlano di riforme del diritto al lavoro, perchè nella pratica si rivelano solo delle riforme a metà.

E’ vero che il Jobs Act di Matteo Renzi ha stabilito nuove regole sulle assunzioni, sulla decontribuzione, sui controlli a distanza, sul “contratto a tutele crescenti”, sull’articolo 18 ridotto ormai ad una reliquia, sui nuovi ammortizzatori sociali. Ma in esso non si parla fattivamente delle politiche attive del lavoro, che aiuterebbero chi perde il lavoro a trovarne subito un’altro, tra percorsi formativi e aggiornamento del proprio bagaglio professionale ed esperenziale. E non si parla nemmeno di occupabilità, che è il valore di una persona sul mercato del lavoro. In Italia il vero problema è che le politiche attive per il lavoro si sono scritte ma si sono poco realizzate.

Nel nostro Paese la cultura del lavoro continua a muoversi lungo due estremità: il lavoro fisso e la precarietà. Manca in mezzo l’occupabilità, il passaggio cioè dalla disoccupazione o perdita del lavoro ad un’altra occupazione. Si è pensato a costruire un sistema di ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, prepensionamenti) orientato esclusivamente al risarcimento dalla perdita del lavoro, e si è completamente ignorata la ri-occupazione.

Più di 20 anni fa, esattamente nel 1994, Jacques Delors aveva scritto Il Libro Bianco – Crescita, competitività, occupazione e aveva detto: “Occorre cambiare radicalmente l’impostazione. Si dovrebbe cercare di prevenire la nascita della disoccupazione di lunga durata. Da un lato si dovrebbe proporre a coloro che sono in attesa di un lavoro, in primo luogo una formazione di livello adeguato, che consenta di ottenere una qualifica, e poi la possibilità di un impiego, anche nel settore pubblico, per qualche mese. In cambio i disoccupati che in questo modo verrebbero realmente aiutati a reinserirsi si impegnerebbero al massimo nella formazione e nel lavoro che vengono loro offerti”.

disoccupati di lunga durata (da più di dodici mesi) sono circa il 58% ed è su questo target che devono agire sostanzialmente le politiche attive. Ma stranamente su questo non si investe perchè c’è un problema di risorse (spesa per le politiche attive 0,3% del Pil), di strumentazioni e di mancanza di addetti nei Centri per l’Impiego (solo 7.000 addetti contro i 100.000 a esempio della Germania). Pensate che l’Italia è in fondo alla classifica europea rispetto alla spesa per le politiche attive. L’unico barlume di speranza c’è stato con l’attivazione nel 2014 di Garanzia Giovani, a cui sono iscritti 825.480 giovani tra i 15 e i 29 anni e grazie al quale il 73 % è stato preso in carico dalle strutture e al 33% è stata offerta almeno una misura di qualificazione formativa o lavorativa.

Secondo studi e ricerche, tra i quali la recente “Studio ergo Lavoro. Come facilitare la transizione scuola-lavoro per ridurre in modo strutturale la disoccupazione giovanile in Italia” condotta da McKinsey – la disoccupazione giovanile nascerebbe dal mancato collegamento tra istruzione e sistema economico con conseguente disallineamento tra domanda espressa dalle imprese e scelte dei giovani in materia di orientamento scolastico e universitario.

Ma almeno, grazie alla Garanzia Giovani, dei giovani fino ai 29 anni il Governo se ne occupa. E dei restanti disoccupati che riempiono le fila del famoso 58% e tra i quali c’è gente veramente valida chi se ne occupa? Boh… direi nessuno perchè in Italia non ci facciamo mancare niente, infatti oltre alla crisi economica che ha steso un velo, aggiungerei “pietoso”, sul futuro di milioni di persone, abbiamo anche una piaga ben peggiore, la cultura delle conoscenze. Questo malcostume italiano, chiude le porte ai talentuosi, ai meritevoli, ai qualificati, e in molti casi li spinge all’estero lasciando l’Italia indietro nella partita della globalizzazione. Per dirla meglio “Non conta quello che sai fare, quanto sei in gamba, ma chi conosci”!

Io dico a questo punto che chi ha lasciato l’Italia ha fatto bene! Almeno si è creato una alternativa per realizzare qualcosa che qui nel nostro Paese, se tutto resterà così, non avrebbe potuto realizzare (lavoro, casa, famiglia, progetti). Ed è molto probabile, che dopo 15 anni (40 lavori cambiati, 2 lauree, 1 master, numerosi corsi e attestati di specializzazione) spesi a credere che questo sistema marcio sarebbe prima o poi finito e che l’Italia sarebbe diventata prima o poi meritocratica, forse me ne andrò anche io, tanto la mia forza, la mia cultura, le mie esperienze nessuno potrà mai togliermele. E concludo dicendo che in Italia l’UNICA ISTITUZIONE SU CUI POTER CONTARE E’ SOLO LA FAMIGLIA.

Ricordate l’hashtag #Presidentefaccitornare lanciato da Matteo Gamba su twitter nel suo Blog Diario di Adamo per l’appello di Arianna, a cui faccio tanti in bocca al lupo, e per i tanti altri cervelli in fuga che vorrebbero rientrare nel nostro Paese con lavoro e condizioni di vita giuste e dignitose.

Alessia Curcio