Mi sento particolarmente colpita dall’articolo di oggi riportato nel blog di Diario di Adamo, alias Matteo Gamba, Giornalista di Vanity Fair, dedicato alla storia di Arianna, 29 anni, cervello in fuga, emigrata all’estero da quando ne aveva 23, perchè desiderosa di trovare un lavoro dignitoso e di raggiungere la sua indipendenza. Sul Blog è stato anche lanciato un hastag per Twitter “#Presidentefaccitornare”, con appello diretto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La storia di Arianna ahimè non è la sola, migliaia sono i “giovani cervelli in fuga” dall’Italia. Secondo i dati del Rapporto Migrantes oltre 107 mila ragazzi hanno lasciato l’Italia solo nel 2015. Secondo me sono dati che continueranno a crescere perché il problema della mancanza di lavoro e di opportunità, non ha riguardato solo gli italiani migranti che hanno già lasciato il nostro Paese, ma continua a riguardare milioni di persone disoccupate, o occupate parzialmente, in Italia, che probabilmente prenderanno la stessa decisione se le cose non cambieranno.
Perchè signori miei, il lavoro continua a non esserci in Italia, e si sta prendendo sotto gamba un problema che è diventato una vera piaga sociale. Anche io mi sento chiamata in causa in prima persona in questo enorme momento di crisi, perchè sono disoccupata e negli anni passati, anche se ho lavorato, ho avuto sempre delle tipologie di contratti vergognosi. In questo clima disastroso, che non riguarda solo me, ma milioni di persone, senti veramente di non avere nessuna certezza e nessuna speranza per il futuro. Chi non c’è dentro o non ci passa non può capire. Senza un lavoro non puoi fare nessun tipo di progetto e nessun sogno per il futuro. Sono parole dure, lo so, ma la verità è questa, è inutile che i vari politici di turno raccontano balle e parlano di riforme del diritto al lavoro, perchè nella pratica si rivelano solo delle riforme a metà.
E’ vero che il Jobs Act di Matteo Renzi ha stabilito nuove regole sulle assunzioni, sulla decontribuzione, sui controlli a distanza, sul “contratto a tutele crescenti”, sull’articolo 18 ridotto ormai ad una reliquia, sui nuovi ammortizzatori sociali. Ma in esso non si parla fattivamente delle politiche attive del lavoro, che aiuterebbero chi perde il lavoro a trovarne subito un’altro, tra percorsi formativi e aggiornamento del proprio bagaglio professionale ed esperenziale. E non si parla nemmeno di occupabilità, che è il valore di una persona sul mercato del lavoro. In Italia il vero problema è che le politiche attive per il lavoro si sono scritte ma si sono poco realizzate.
Nel nostro Paese la cultura del lavoro continua a muoversi lungo due estremità: il lavoro fisso e la precarietà. Manca in mezzo l’occupabilità, il passaggio cioè dalla disoccupazione o perdita del lavoro ad un’altra occupazione. Si è pensato a costruire un sistema di ammortizzatori sociali (cassa integrazione, mobilità, prepensionamenti) orientato esclusivamente al risarcimento dalla perdita del lavoro, e si è completamente ignorata la ri-occupazione.
Più di 20 anni fa, esattamente nel 1994, Jacques Delors aveva scritto Il Libro Bianco – Crescita, competitività, occupazione e aveva detto: “Occorre cambiare radicalmente l’impostazione. Si dovrebbe cercare di prevenire la nascita della disoccupazione di lunga durata. Da un lato si dovrebbe proporre a coloro che sono in attesa di un lavoro, in primo luogo una formazione di livello adeguato, che consenta di ottenere una qualifica, e poi la possibilità di un impiego, anche nel settore pubblico, per qualche mese. In cambio i disoccupati che in questo modo verrebbero realmente aiutati a reinserirsi si impegnerebbero al massimo nella formazione e nel lavoro che vengono loro offerti”.
I disoccupati di lunga durata (da più di dodici mesi) sono circa il 58% ed è su questo target che devono agire sostanzialmente le politiche attive. Ma stranamente su questo non si investe perchè c’è un problema di risorse (spesa per le politiche attive 0,3% del Pil), di strumentazioni e di mancanza di addetti nei Centri per l’Impiego (solo 7.000 addetti contro i 100.000 a esempio della Germania). Pensate che l’Italia è in fondo alla classifica europea rispetto alla spesa per le politiche attive. L’unico barlume di speranza c’è stato con l’attivazione nel 2014 di Garanzia Giovani, a cui sono iscritti 825.480 giovani tra i 15 e i 29 anni e grazie al quale il 73 % è stato preso in carico dalle strutture e al 33% è stata offerta almeno una misura di qualificazione formativa o lavorativa.
Secondo studi e ricerche, tra i quali la recente “Studio ergo Lavoro. Come facilitare la transizione scuola-lavoro per ridurre in modo strutturale la disoccupazione giovanile in Italia” condotta da McKinsey – la disoccupazione giovanile nascerebbe dal mancato collegamento tra istruzione e sistema economico con conseguente disallineamento tra domanda espressa dalle imprese e scelte dei giovani in materia di orientamento scolastico e universitario.
Ma almeno, grazie alla Garanzia Giovani, dei giovani fino ai 29 anni il Governo se ne occupa. E dei restanti disoccupati che riempiono le fila del famoso 58% e tra i quali c’è gente veramente valida chi se ne occupa? Boh… direi nessuno perchè in Italia non ci facciamo mancare niente, infatti oltre alla crisi economica che ha steso un velo, aggiungerei “pietoso”, sul futuro di milioni di persone, abbiamo anche una piaga ben peggiore, la cultura delle conoscenze. Questo malcostume italiano, chiude le porte ai talentuosi, ai meritevoli, ai qualificati, e in molti casi li spinge all’estero lasciando l’Italia indietro nella partita della globalizzazione. Per dirla meglio “Non conta quello che sai fare, quanto sei in gamba, ma chi conosci”!
Io dico a questo punto che chi ha lasciato l’Italia ha fatto bene! Almeno si è creato una alternativa per realizzare qualcosa che qui nel nostro Paese, se tutto resterà così, non avrebbe potuto realizzare (lavoro, casa, famiglia, progetti). Ed è molto probabile, che dopo 15 anni (40 lavori cambiati, 2 lauree, 1 master, numerosi corsi e attestati di specializzazione) spesi a credere che questo sistema marcio sarebbe prima o poi finito e che l’Italia sarebbe diventata prima o poi meritocratica, forse me ne andrò anche io, tanto la mia forza, la mia cultura, le mie esperienze nessuno potrà mai togliermele. E concludo dicendo che in Italia l’UNICA ISTITUZIONE SU CUI POTER CONTARE E’ SOLO LA FAMIGLIA.
Ricordate l’hashtag #Presidentefaccitornare lanciato da Matteo Gamba su twitter nel suo Blog Diario di Adamo per l’appello di Arianna, a cui faccio tanti in bocca al lupo, e per i tanti altri cervelli in fuga che vorrebbero rientrare nel nostro Paese con lavoro e condizioni di vita giuste e dignitose.
Alessia Curcio